Testimonianze della processione di S.Giacomo

Categoria: storia
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s.giacomo_esterno.jpgSituata sul monte Motola, a 1059 metri dal livello del mare, la piccola chiesa di S.Giacomo, domina un paesaggio brullo e irregolare. Costruita nel 1615 da Giovanni Fiorini, di famiglia molto religiosa e apprezzata dalla popolazione verolana, per il forte legame con la sua terra. Pietro, Angelo e Padovano Fiorini, infatti, rispettivamente padre e zii di Giovanni, in segno di devozione a Santa Maria Salome, patrona della città di Veroli, di cui non solo la famiglia Fiorini, ma l’intera popolazione è ancora oggi molto devota, costruirono nel 1558 una piccola cappella, all’interno della chiesa di S. Leucio, dedicata alla Santa, come ringraziamento per aver allontanato da Veroli le insidie del generale spagnolo Don Garcia.

 

La chiesa di S.Giacomo dopo la sua costruzione, fu affidata alle dipendenze della cattedrale di S. Andrea e successivamente, per volere degli eredi della famiglia Fiorini, consegnata dall’allora vescovo Domenico Zauli, alla chiesa di S. Leucio che in quel periodo era guidata dall’abate Giovanni Giacomo Fiorini, nipote di Giovanni.

Dall’osservazione delle pareti esterne si nota una demarcazione per la sovrapposizione di pietre angolari che evidenziano due strutture di epoca diversa. Probabilmente l’attuale chiesa è il risultato di un successivo ampliamento realizzato su una struttura preesistente che misurava circa 8,30 mt di lunghezza e 4,60 mt di larghezza, e orientata di traverso all’attuale. In quella che era la facciata di questa, orientata a sud, sono visibili gli stipiti e l’architrave della porta d’entrata alta 1,90 mt e larga 80 cm, che risultano murati e inglobati nella parete dell’attuale struttura.

L’attuale chiesa esternamente è lunga 11,21 mt, larga 10,80 mt, alta alla sommità 4,85 mt, la facciata principale, presenta la porta d’ingresso che è alta 2,12 e larga 1,01, il rosone realizzato con mattoni ha diametro di 60 cm, le finestre ai due lati della porta misurano entrambi 50 cm di altezza, di larghezza una 41 cm e l’altra 38 cm. Ospita nel suo interno, un dipinto del Santo, realizzato da Iannozzi Vincenzo, pittore verolano dell’800, nel luglio del 1855 e sulla cima del tetto una campana in red, alta 59 cm, diametro 59 cm, corona 12 cm, peso 125 kg, posta nel 1914.

Con fuso sulla corona la seguente iscrizione: PATRONO SUO IACOPO APOSTOLO A.D. MCMXIV INCOLAE CIRCUMSTANTES ERNESTO ET ORESTE F.LLI LUCENTI FONDITORI ROMA.

Come attesta l’epigrafe, la campana, fusa dai fratelli Oreste e Ernesto Lucenti di Roma nel 1914, fu donata alla chiesa di S. Giacomo, in segno di devozione, dagli abitanti circostanti la cappella.

Della chiesa, chiusa per gran parte dell’anno, particolare suggestione, rappresentava il tocco della campana, perché testimoniava la presenza di fedeli che vi si recavano con dedizione.

Nel corso della sua lunga esistenza, la chiesa di S.Giacomo infatti, è stata meta di diversi pellegrinaggi, da parte di contadini verolani che, mossi da una profonda fede nei confronti del Santo, patrono della famiglia Troiani, da sempre venerato come la divinità propiziatrice delle piogge, invocavano con delle litanie il Suo aiuto, affinché avesse protetto il loro umile raccolto dei campi, dalla siccità.

 

Almeno una volta all’anno, soprattutto il 25 luglio, giorno della commemorazione di S.Giacomo, contadini, massaie, giovani, provenienti dalle varie contrade del paese, si davano appuntamento nel piccolo piazzale antistante la chiesa sul Motola, per invocare la pioggia, tanto preziosa soprattutto nei caldi mesi dell’estate.

Tali processioni, si ripetevano anche più volte, a seconda dell’arsura.

Era fondamentale il frutto dei miseri orti, da cui i contadini, ne traevano il principale sostentamento per le loro famiglie spesso numerose. Un raccolto andato a male, avrebbe sicuramente causato non pochi problemi agli agricoltori e alle poche bestie che avevano nelle stalle.

Da Santa Francesca, Santa Maria Amaseno, Colle Grosso, Fontana Fratta e dintorni tutti, almeno una volta nella loro vita sono andati a “pregare l’acqua “ a S.Giacomo, di qualcuno abbiamo anche testimonianza, pazientemente raccontataci.

 


 

È il caso di nonna Clorinda, nata il 18-05-1923, in contrada Case Rossi, piccolo agglomerato di case a mezza costa sul monte Pedicino che, con un po’ di nostalgia negli occhi ci dice di aver partecipato tante volte alla sacra passeggiata.

Ricorda le prime volte da bambina intorno agli anni trenta quando, con la famiglia e i vicini di casa, Esterina Paniccia, che oggi vive in Canada, Lisetta Rossi, Cesarina Rossi, Memma Di Poi (sorella di Esterina), Palmira Rossi, Filomena Ferrante, Liduina Ferrante, Liduina “Lu Megli”, cosi chiamata perché viveva in una piccola contrada vicino a Case Ferrante , chiamata appunto Lu Megli, ed altri, alle prime ore dell’alba del giorno prestabilito, scendendo da Case Rossi, si prendeva il sentiero che, dalla Macchia di Poi, l’avrebbe portata su Maccarone e Mola Parente.

Di solito, a Mola Parente, si incontravano le famiglie delle contrade N’ciloccitto e Cristini, con le quali arrivavano sulla cima del Motola, prendendo il sentiero che parte da Mola Parente passando per Pozzo Spano e Pozzo Noce.

La tappa “obbligatoria”per lo spuntino, si faceva a Pozzo Noce, dove la comitiva sostava qualche minuto, sotto l’ombra dei faggi, mangiando un po’ di pane e formaggio pecorino, prodotto dal papà Enrico.

Durante questa sosta, mentre i piccoli si rincorrevano l’un l’altro, i più grandi discutevano di agricoltura e bestiame, sorseggiando un po’ di vino, buttando di tanto in tanto qualche voce ai bambini, sempre più chiassosi.

Arrivati in cima e salutato i vari amici, si ascoltava devotamente la messa. Mentre le donne occupavano i primi posti, insieme ai bambini, con il velo in capo al cospetto dell’altare, gli uomini stavano più indietro con il cappello in mano.

Molti però, dote le ridotte dimensioni della chiesa, erano costretti a restare fuori, comunque attenti alla celebrazione.

Al termine, si rincontravano amici e parenti, che scambiandosi opinioni, consumavano le poche vivande rimaste. Qualcuno più anziano tornava in chiesa per pregare ulteriormente, i più giovani scherzavano tra di loro, mentre gli innamorati cercavano lo sguardo della spasimante, da sempre amata, ma gelosamente controllata dai genitori. Nel tardo pomeriggio, si ripartiva alla volta di Veroli dove nella basilica intitolata alla madre di S. Giacomo, S. Maria Salome, si raccoglievano in qualche minuto di preghiera, quasi a chiedere la raccomandazione della Madre, affinché il Figlio non avesse dimenticato le loro intenzioni.

Sul fare della sera, la comitiva, si riuniva nel piazzale Filippine, si scendeva per il Bagno Coperto, si risaliva per contrada La Mosca e giù verso Forbici fino a S. Francesca. Arrivati al quadrivio, S.Fracesca, S.Maria, Montano Paolino, Veroli, si risaliva verso S. Maria prendendo un sentiero abbastanza impegnativo fino a la Torre da dove, gli abitanti di Case Cristini e Ngiloccitto, scendevano giù per un viottolo che porta a S. Maria, quelli di Case Rossi salivano su verso Colle Grosso e ognuno, stanco per l’impegnativa giornata, tornava a casa propria.

Per tutti, la processione di S.Giacomo, era un evento molto importante. Per gli adulti, era anche un modo per rincontrare vecchi amici di contrade vicine, per i bambini, invece, era un giorno di festa dove poter mettere il vestito più nuovo, mangiare qualcosa di nuovo che quotidianamente non si poteva, per ragioni economiche, come la mortadella per esempio.

Anche Frasca Chiarina nata a Veroli il 3- 1-1925 e residente a Colle Spagnolo di Santa Francesca, ricorda piacevolmente la processione a S. Giacomo. Ci racconta infatti che il prete, don Luigi Coccia molto devoto del Santo, la domenica prima della processione, durante la celebrazione della messa fissava l’appuntamento con tutti quelli che volevano partecipare; di solito alle cinque del mattino della domenica successiva, nel piazzale antistante la chiesa di S. Francesca.

Ancora prima che il sole sorgesse, tutti i partecipanti alla processione, si incontravano nel punto prestabilito. Dalla chiesa di Santa Francesca si passava a contrada Scattaruggine, si risaliva per Case Paniccia fino ad arrivare a Mola Parente. Ogniuno portava qualcosa da mangiare, ma per far impegnare i ragazzi nel cammino, i genitori li invogliavano con la promessa di una salsiccia e con essa fra le mani dicevano che prima si arrivava e prima si mangiava. Anche Chiarina ci conferma la visita a Santa Salome e anche di qualche piccolo acquisto nelle botteghe di Veroli. Inoltre ci racconta che, chi riceveva una grazia da S.Giacomo, per ringraziarlo doveva tornarvi scalzo portando sette bambine vestite con abito bianco.

 

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