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Storia di Santa Francesca Romana

Categoria: altro
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A partire dal 1608, anno della canonizzazione, in molte chiese di Roma furono dedicati altari e cappelle al culto di S. Francesca Romana, soprattutto nelle basiliche e chiese che erano state meta dei suoi pellegrinaggi. Nello stesso tempo la venerazione si propagò in quasi tutte le regioni italiane, tramite i monaci olivetani, che nelle loro chiese e annessi monasteri, affidarono a celebri ed affermati artisti l'incarico di tramandare visioni, estasi, miracoli, episodi e momenti della vita della Santa. 

 

 interno_chiesa_s.francesca_romana Un caso a sé rispetto al fenomeno generale, è rappresentato dalla fondazione della chiesa - la prima extra Urben - in agro di Veroli, alle falde di monte Pedicino, a metà della strada tra la celebre Abbazia di Casamari e la non meno famosa certosa di Trisulti.

Come ricordava un'epigrafe, oggi scomparsa, collocata a memoria dell'avvenimento, la prima pietra fu posta dal vescovo di Veroli, mons. Vincenzo Lanteri (oratoriano, già discepolo di S.Filippo Neri e arcivescovo di Ragusa, particolarmente devoto alla santa romana: nel 1601 cantò messa sulla tomba della beata in occasione della capella cardinalizia solita celebratasi il 9 marzo, giorno anniversario della morte), il 28 ottobre 1632, a soli ventiquattro anni dalla solenne canonizzazione fatta in S. Pietro da Paolo V. Le spese per la costruzione della nuova chiesa, del suo ornamento e della sua dotazione, furono sostenute da Alessandro de Gasperis (nobile famiglia verolana con legami di parentela più o meno stretti con quella dei Ponziani), con l'aiuto di Vespasiano Pinciveri. 

rosone_chiesa_s.francesca_romanaSorge spontanea la domanda: per la quale ragione di culto della santa romana si propagò in così breve tempo da Roma alle ultime, più' remote propaggini dei monti Ernici?

quadro_s.francesca_romana Vivente ancora Francesca Bussa dei Ponziani, la fama della sua santa vita e dei miracoli da lei operati era già nota in Veroli come a Roma. A diffonderla contribuì la numerosa colonia di cittadini verolani trapiantati nella dominante, tra i quali erano i cosidetti "vascellari", un consistente nucleo di vasai che avevano fissato la propria residenza ed esercitavano la propria attività in Trastevere, nei pressi della casa della nobile famiglia dei Ponziani (attualmente palazzo Ponziani trovasi ubicato in via dei Vascellari, appunto), dove Francesca Bussa visse e chiuse la sua esistenza terrena. Non sembra dunque affatto casuale che tra le prime sue compagne è menzionata una tal Francesca da Veroli, ricordata anche nella bolla di Eugenio IV del 1433 come una delle dieci fondatrici della congregazione delle Oblate di Tor de' Specchi.

Si tenga presente, infine, che la memoria e la devozione per Francesca, dopo la sua morte, furono tenute vive dal vescovo Giovanni Paolo Ponziani, nipote della santa, il quale tenne il governo della diocesi di Veroli per ben trentadue anni, dal 1471 al 1503.

statua__s.francesca_romana Quanto alle ragioni che determinano la costruzione di una nuova chiesa fuori le mura cittadine (probabilmente con l'ampliamento di un'antichissima "cona " campestre sotto il titolo di S. Maria Liberatrice), è da dire che se ne discuteva già da oltre mezzo secolo, vale a dire da quando mons. Annibale Grassi, vescovo di Faenza, nel corso della visita apostolica da lui compiuta nel 1581, aveva ordinato l'istituzione di una o più parrocchie rurali per soddisfare le esigenze spirituali della numerosa popolazione stabilmente dimorante in campagna.

Benché di modeste dimensioni, la chiesa in origine era nobilmente decorata.

  Dell'ornamento fu data commissione al pittore Alessandro di Frezza di Parma, di cui a tutt'ora rimane il dipinto (firmato sull'alzato della predella, in basso a sinistra) sulla parete sinistra del presbiterio. Vi è raffigurata la visione più celebre avuta da S. Francesca: la Madonna assisa su nuvole tra nembi di angeli; ai suoi piedi è inginocchiata la Santa che sorregge tra le pieghe del velo il Bambino; a sinistra, l'angelo in dalmatica con le mani incrociate sul petto. La scena è delimitata da grande, finta cornice lignea, sorretta da due cariatidi in finto marmo, al di là di una pesante tenda alzata da un angelo.

 Indubbiamente l'originalità e l'eleganza dell'apparato decorativo contribuiscono ad elevare la qualità del dipinto, per il quale l'artista parmense trasse ispirazione della biografia della santa scritta dal gesuita Giulio Orsino e pubblicata in occasione della canonizzazione. Una conferma, per altre, è data dalla presenza di altri due santi raffigurati nell'intradosso: a sinistra, l'immagine di papa Gregorio Magno e, a destra, quella di S. Francesco d' Assisi; soggetti entrambi di altrettante visioni, alle quali si dà particolare rilievo nella predetta biografia.

dipinto_s.francesca_romana Due stemmi vescovili arricchiscono la decorazione, ma uno solo di essi è possibile identificare con sicurezza come appartenente a mons. Vincenzo Lanteri: scudo ovale troncato ad arco; in capo giglio d'oro su campo rosso; in punta tre pali d'oro interzati in banda.

II dipinto è sormontato da un cartiglio sorretto da due angeli, entro il quale sono riportate le .parole del salmista (28,8): Domine dilexi decorem domus tuae.

  Attualmente in non buone condizioni, questo dipinto tuttavia è riuscito a preservarsi integro nonostante i lavori di ampliamento compiuti alla fine del secolo XVII, su iniziativa del vescovo Domenico Zauli; lavori che hanno radicalmente modificato l' originaria struttura e la pianta dell'ecclesiola diventata ormai inadeguata ad accogliere la numerosa popolazione della contrada ascendente ad oltre mille anime, mentre non era capace di contenere neanche un terzo, secondo la stima dello stesso vescovo.

Nella circostanza la nuova chiesa, alla quale si diede il nuovo titolo di S. Maria Assunta in Cielo fu decorata di un prospetto con disegno del tutto simile a quello della chiesa di S. Nicola da

Tolentino in Roma. Negli anni successivi, durante l'episcopato di mons. Lorenzo Tartagni, vi furono annesse la sacrestia ed altre stanze per comodità del cappellano e del predicatore, oltre un piccolo cimitero da utilizzare in circostanze straordinarie.

 

La presenza del cappellano fu resa stabile nei giorni festivi con la concessione, per il suo sostentamento, di una speciale licenza vescovile che gli consentiva di questuare nella contrada a tempo della mietitura. Il diritto di nomina, prima spettante ai ne Gasperis, poi alla famiglia Melloni, fu da questa ceduto, nel 1836, alla confraternita dei Sacchetti, istituita dai Passionisti alla metà del secolo precedente.

Il 2 febbraio 1864, per decreto di mons. Fortunato Maurizi, vescovo di Veroli la cappellania fu elevata a parrocchia. Erano trascorsi quasi tre secoli da quando mons. Grassi ne aveva ordinati l'istituzione!

 

Da “Verulana Civitas” di Marcello Stirpe – Ricerche storiche

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