Acquedotto romano

Categoria: storia
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Case Fuglippitto, speco dell'acquedotto scavato nella rocciaAd un anno dalla prematura scomparsa dell’amico Eugenio Beranger, ci accingiamo a ricordarlo, sagra dopo sagra, attraverso la pubblicazione degli articoli che erano in fase di realizzazione, contenenti ricerche e studi condotti nel territorio di Santa Francesca. Il presente argomento è riferito alle testimonianze riconducibili al periodo della Repubblica romana, collocabile al quarto­secondo secolo avanti Cristo. Questo articolo trae origine da una bozza scritta più di dieci anni fa con Eugenio. Dovendola perfezionare per pubblicarla nell’opuscolo della 52^ Sagra della Crespella, consapevole di non avere una preparazione specialistica del periodo storico trattato, mi sono limitato a completare la parte descrittiva del territorio e dei ritrovamenti. Eugenio pensava di scrivere gli approfondimenti con la dovuta calma al momento opportuno, purtroppo il suo contributo è riconducibile alla fase iniziale del ritrovamento, relativo all’analisi dei reperti di superficie e dell’inquadramento storico.

 

La costante ricerca, certosina e metodica, eseguita nel territorio compreso tra le località Case Primi, Santa Francesca, Case Pinciveri e Case Branca, ha messo in evidenza un’area ricca di testimonianze di epoca romana. Nei terreni si rinvengono molti frammenti in terracotta riconducibili a vasellame per il vario utilizzo domestico, frammenti di tegoloni e laterizi di abitazioni, oltre a pesi usati nei telai per tessere stoffe. I siti di Case Branca e l’area del nuovo plesso scolastico si sono rivelati luoghi di sepoltura, con il ritrovamento di tombe a tegoloni e mediante l’utilizzo di anfore. In particolare il primo sito meriterebbe una descrizione a parte, in quanto luogo del ritrovamento del sarcofago anepigrafo, avvenuto il 25 settembre 1947 durante i lavori per la realizzazione della strada Veroli-­Incoronata-­Sora, ed ora visibile dietro al monumento dei caduti a Veroli.

Macchia Fiorini, speco dell'acquedotto scavato nella roccia

Dalla piazza Celestino Frasca della frazione di Santa Francesca di Veroli (FR), si procede in direzione della contrada Colle Grosso o più precisamente di Case Primi. Superato l’abitato troviamo il fosso della valle di S. Eremo con l’omonima sorgente posta a circa cento metri più in alto della strada che conduce al Monte Pedicino. Il termine che oggi si usa per indicare la valle, è una corruzione del nome di Erasmo, per l’antica presenza dell’eremo di S. Erasmo, di cui rimangono alcune foto che ritraggono brani di grandi blocchi di pietra squadrati, allineati e poggiati ai basamenti dell’edificio, un’architrave in calcare locale di forma parallelepipeda avente gli angoli superiori smussi, e frammenti di laterizi. Questa sorgente è strettamente legata all’acquedotto romano a cui forniva le sue acque stabilendone l’inizio del percorso. Poco più avanti si giunge al borgo di Case Fuglippitto, dove si diparte una strada sterrata costeggiata sul lato sinistro da un muro a secco alto circa un metro e mezzo. Nel lato scosceso che guarda a valle, a pochi passi sono visibili i primi tratti dell’acquedotto, che dopo un centinaio di metri si rende più evidente. Essi si susseguono per circa ottocento metri fino ad incontrare una curva a gomito. Si segnala che dall’inizio della strada sterrata, a circa cento metri più a valle in località Le Chiappette sono presenti cumuli di frammenti in terracotta riconducibili a mattoncini, contenitori e laterizi vari, probabilmente appartenuti ad una abitazione romana. Giunti nella Macchia Fiorini l’acquedotto si inoltra in un boschetto di querce, superato il quale si dirige alla volta della Casetta Fiorini, dove attraversa una costruzione rurale e la strada sterrata che sale da Case Fiorini. Si porta a conoscenza che a circa cinquanta metri dalla Macchia Fiorini in direzione del monte, in località Ciolefi, sono presenti numerosi basamenti ricavati intagliando il calcare naturale del suolo, al loro interno è presente una canalina scavata nella stessa roccia. A seguire nel lato nord­ovest sono presenti alcune fosse di forma ovale e triangolare ricavate nello stesso banco calcare, fanno presupporre che fossero adibite a sepolture. Sul lato nord­est è evidente un grande pozzo quasi completamente ripieno di terra. A livello superficiale compaiono numerosi frammenti di laterizi e vascolari, tra essi è stato individuato un peso in terracotta di un telaio per la tessitura. Tutti gli elementi descritti fanno presupporre che ci troviamo in presenza di un’altra abitazione. In particolare tra i frammenti vascolari è stata trovata terracotta pitturata di nero. Tornando alla descrizione del percorso dell’acquedotto, a cinquanta metri dal ricovero agro­pastorale, un grosso masso posto a ridosso di una recinzione, ne reca i segni molto evidenti. Superata la recinzione si scorge un ultima roccia tagliata, e a circa duecento metri, seguendo l’altimetria del terreno o le curve di livello, si arriva nella zona detta la Chiusa, dove siamo in presenza dei ruderi di una villa rustica di età medio­tardo repubblicana. Essi si caratterizzano per due brani di pavimentazione, di cui una realizzata secondo i dettami dell’opus spicatum, realizzata in mattoncini che misurano cinque centimetri di altezza, undici di lunghezza e due di larghezza, uniti da malta cementizia e a seguire la seconda realizzata con grossi mattoni.

 La Chiusa (villa rustica, pavimento in opus spicatum)

I tratti di acquedotto scavati nella roccia presentano un incavatura, di forma rettangolare dove scorreva l’acqua, che misura circa 25 centimetri di profondità e circa 20 di larghezza. Il circa sta a significare che c’è una variazione durante il percorso, probabilmente legata ad una funzionalità della spinta idrica. Al disopra un secondo taglio largo circa 40 centimetri, il circa è sempre per la medesima ragione, dove probabilmente erano collocate delle lastre di pietra a modo di coperchio, con la funzione di impedire che detriti o materiali organici potessero sporcare l’acqua.

Una risposta completa ai tanti quesiti, sul chi, come, quando e perché, non è ancora possibile avere, pertanto sono ancora in corso studi di ricerca. Per avere un idea si potrebbe paragonare questo manufatto, alla porzione di superficie dell’acquedotto romano di Atina (FR). Anche se la tecnica è somigliante, si distinguono sia per la notevole differenza nella dimensione, ed anche per la mancanza di diramazioni, in quanto ad Atina alimentava una città, mentre qui solo una villa. Un altro esempio di quesito, è capire come era realizzata la connessione tra i tanti tratti mancanti e privi di roccia. Altresì, ci si chiede come veniva accumulata e gestita l’acqua una volta giunta alla villa, ed anche che fine faceva, nel probabile senso che potesse proseguire verso altre testimonianze.

In merito al ritrovamento, va detto che il sottoscritto con l’amico Pietro De Gasperi eravamo da tempo, impegnati in una ricerca sul territorio delle testimonianze romane collegate al sito di Case Branca. Come sempre facevamo, prima di passare all’osservazione sul campo, andavamo ad intervistare persone anziane del posto, che da giovani erano dediti ai lavori dei campi, per chiedere se quando aravano i terreni avessero rinvenuto delle testimonianze. Una di queste interviste, datata luglio 2001, fatta al Signor Achille Rossi, tornato dal Venezuela per una visita ai parenti ed amici, si rivelò attendibile. Ci raccontò che da ragazzo aveva visto delle rocce tagliate e di fondamenta coperte di terra dove spesso l’aratro trainato dai buoi si bloccava ed uscivano delle grosse pietre. Indicatoci il posto, inizialmente non fu facile il ritrovamento a causa dei sedimenti accumulati dopo tanti anni e della vegetazione cresciuta abbondante sui ruderi. Dopo alcuni mesi di sopralluoghi, grazie anche all’aiuto di Umberto Quattrociocchi e il figlio Mario di Case Fuglippitto ci fu il rinvenimento di un paio di tratti. Successivamente con tutto il gruppo di ricerche dell’Associazione “La Vetta”, seguendo le curve di livello nelle due direzioni, fu possibile completare l’intero percorso dalla sorgente alla villa e di quest’ultima fu possibile ritrovare i basamenti e i pavimenti, appena affioranti dal terreno e ricoperti di erba.

La Chiusa (Reperti di superfice in metallo)

Le ricognizioni di superficie condotte lungo il corso dell’acquedotto e nei terreni adiacenti la villa agreste, hanno portato al ritrovamento di numerosi frammenti vascolari e laterizi, chiodi in ferro dalla testa grande, fusioni di piombo derivanti da riparazioni di piccole crepe e fori dei recipienti in terracotta, dello stesso metallo sono fatti due pesi, inoltre il piombo veniva usato per fissare i cardini nel laterizio. Anche il bronzo è stato ritrovato sotto forma di monete “giano bifronte”, due piccole porzioni in bronzo appartenenti a statuette, piccoli oggetti di ornamento personale e accessori per suppellettili dell’ abitazione. Oggi questa importantissima presenza archeologica, giustamente valorizzata e segnalata, attraverso la proposizione di un percorso naturalistico­-archeologico, potrebbe rappresentare un’attrazione da inserire nell’auspicabile sviluppo del turismo integrato nel territorio di Santa Francesca e per il Comune di Veroli.

Moneta in bronzo Giano Bifronte  (Lato fronte)

Moneta in bronzo Giano Bifronte (Lato retro con prua di nave)

Quando iniziammo questa ricerca e demmo la notizia della presenza dell’acquedotto ad Eugenio, ci rivelò che erano venti anni che gli archeologi di storia dell’antica Roma avevano notizia della sua esistenza a Veroli, ma lo avevano cercato senza risultato nel centro del paese e nell’immediata periferia. Mai si sarebbero immaginati che poteva trovarsi a Santa Francesca.


Dott. Achille Lamesi – Prof. Eugenio Maria Beranger
Foto: Achille Lamesi

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