Gli zuavi pontefici

Categoria: storia
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 Oggi generalmente si associa la parola zuavo ai caratteristici pantaloni ampi e stretti sotto il ginocchio, a cui la moda degli anni sessanta si ispirò, ma la sua origine è più antica.

Il termine zuavo nasce dalla parola berbera “zwa-wa”, nome di una tribù berbera Calibi, degli “Igauaun”, abitanti della Cabila (Algeria), al quale nel 1830 i francesi trassero gli uomini per costituire una milizia indigena. Solo nel 1837 furono integrati definitivamente nell’esercito francese, costituendo alcune compagnie che furono dette Zuavi.

Con lo stesso nome nel 1860 lo Stato Pontificio costituì il corpo speciale degli zuavi pontifici, comandati dal Ten. Col. Anthanase de Charette, molti di loro erano di nazionalità franco-belga, ma non mancarono spagnoli ed ex ufficiali borbonici. Come i colleghi francesi avevano in dotazione l’uniforme composta da un copricapo chiamato kepì, la giacca corta in vita e il classico pantalone stretto in vita e largo alle ginocchia. Il colore della divisa era, per i pontifici turchese con fregi rossi sulla giacca, mentre quella degli zuavi francesi era nera la giacca e bianco il pantalone.

Nei primi anni del 1860, battaglioni di zuavi pontifici furono mandati in forze alla frontiera tra lo Stato Pontificio e il Regno delle due Sicilie , nelle città come Veroli, Ceprano e Ferentino, per rinforzare le difese nei vari distaccamenti e in molti casi come scrive St. Jorioz, gli zuavi appoggiarono le mosse dei briganti legittimisti, causando molte perdite negli schieramenti piemontesi. Francesco Francescani, il cosiddetto “Brigante di Casamari”, fece parte della Banda di Chiavone, come soldato combatte contro i piemontesi e arruolato come squadrigliero Pontificio, svolse il compito di milite di confine, trascorse i suoi ultimi anni come guardiano dei monaci di Casamari, nella grangia dell’Antera. Da lui in una serie di lettere del 1913, indirizzate allo storico di Casamari, Don Mauro Cassoni, furono narrati molti episodi delle imprese a cui aveva preso parte. Tra questi, dove si parla della presenza nel territorio Verulano degli zuavi, c’è l’incontro con un ufficiale piemontese a capo di una compagnia, che avevano sconfinato per circa tre chilometri nei pressi di Scifelli. Francescani ci dice che non vi fu uno scontro, ma dopo essersi presentati, trascorsero qualche mezzora insieme, scambiando due chiacchiere mentre si rifocillavano con acqua e vino. Dopo di che invitò l’ufficiale ad affrettare il rientro oltre il confine, temendo la reazione punitiva con l’arrivo degli zuavi. Alla domanda dell’ufficiale dove fossero gli zuavi, Francescani rispose che erano dislocati a Veroli e una squadriglia a Santa Francesca. Allora l’ufficiale gli disse di non avvisarli della loro presenza e dopo averlo ringraziato lo salutò e ripartì subito.

Verso la fine del decennio gli zuavi furono usati per reprimere le bande di ribelli ormai datisi al banditismo nonostante che l’Editto Pericoli (1867) ordinava la resa a tutte le bande. Causa di ciò il nostro territorio fu teatro di numerosi scontri, dove oltre ai ribelli e ai soldati morirono molti civili.

L’episodio più eclatante che testimonia il coraggio in battaglia degli zuavi, fu nel novembre del 1867, quando riuscirono a respingere i garibaldini a Mentana e Castelfidardo. Durante l’occupazione a Roma si posero al soldo della Francia, ma il reparto venne definitivamente congedato nel 1871.

 

Domenico Paniccia

Achille Lamesi

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