Camminando... Pedicino e le sue piante

Categoria: natura
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Questo viaggio che si svolge alle pendici del Monte Pedicino, suggestiva cornice che circonda la frazione di S. Francesca, ci consente di poter conoscere ed ammirare tutto l’interessante panorama botanico di questa natura.

Il nostro viaggio che si svolge in primavera, in una bellissima giornata di sole, zaino sulle spalle con dentro poche cose, una lente di ingrandimento, un binocolo, un altimetro, una macchina fotografica, una carta topografica, qualche panino, una bottiglia di vino bono e tanta voglia di camminare.

Il sole illumina il rosone della chiesa parrocchiale di Santa Francesca, punto di partenza di questa escursione. Nella piazzetta antistante, vicino al monumento dell’emigrante, scopriamo la prima pianta, un albero di Tilia cordata (tiglio). Essa fu messa a dimora circa 40 anni fa dagli alunni delle locali Scuole Elementari in occasione della ricorrenza della festa degli alberi. Il tiglio non è un albero spontaneo nel nostro territorio ma spesso viene messo a dimora come pianta ornamentale, specie lungo i viali cittadini o all’interno di ville. Per le antiche civiltà era un albero sacro. I fiori di questi alberi emanano un profumo forte e gradevole, ma il polline può provocare allergie e raffreddori da fieno.

 Ci avviamo, in direzione nord, verso la contrada di Colle Grosso, per seguire il sentiero la Croce (Monte Castello), e appena superato l’abitato di S.Francesca, incontriamo zone coltivate ad uliveto alternate a piccoli boschi di quercia. Di tanto in tanto lungo la strada notiamo alcune piante di Fraxinus ornus (orniello), che ci fanno tornare indietro nel tempo, quanto da ragazzi andavamo a caccia di cicale, attratte dalla linfa dolcissima, chiamata “La manna”, che il frassino secerne in seguito alle punture degli insetti.

Pur salendo di quota in direzione di Case Ferrante, è ancora presente la coltivazione di Olea europaea (olivo) con la caratteristica del terrazzamento, realizzato con muretti a secco intorno agli alberi. Subito dopo l’abitato, guardando verso est, a poca distanza dalla strada brecciata che percorriamo, notiamo tre chiome più verdi delle altre circostanti, appartengono alla Quercus suber (sughero) e una al Pinus pinea (pino da pinoli). Guardando tra le rocce notiamo alcuni cespugli di Satureja montana (santoreggia), molto usata per aromatizzare gli arrosti e considerata afrodisiaca. Tutta la pianta emana un gradevolissimo profumo, e le foglie, se masticate, risultano molto piccanti. Le api sono attratte dal colore e dal profumo dei fiori e dal polline producono un ottimo miele.

Dalla località, ara di Poi, così chiamata per la presenza di un’antica aia con annesso rudere, rimaniamo sommersi da migliaia di piante di Hypericum perforatum (erba S. Giovanni), pianta molto importante dai cui fiori tenuti immersi nell’olio di oliva, si ricava un olio efficace per le scottature.

Percorriamo l’antico sentiero per il valico di Forca Fura che percorrevano i militi pontifici durante la presenza del confine fra lo Stato Pontificio e il Regno delle due Sicilie. In questo tratto, il bosco si fa preponderante rispetto alle piante coltivate e comincia la selezione naturale collegata agli effetti climatici dell’altitudine, rappresentata da 950 mt.. Pertanto scompare la quercia e prende il sopravvento il Ostrya carpinifolia (Carpino Nero) e cespugli di Rosa Canina, che con i frutti secchi di quest’ultima, si prepara un infuso ricco di vitamina C, usato come antinfluenzale. 

  Dopo il valico, saliamo attraverso un tortuoso sentiero che ci conduce al bosco della Macchietella, a quota 1100, ove possiamo facilmente notare la tipica faggeta, con alberi secolari. Nelle radure assolate tra il bosco, ci sono cespugli di Juniperus communis (ginepro), dalle bacche blu-scuro, l’unico usato sia per preparazioni di liquori sia per la cucina. Proseguendo in direzione di Sora, il bosco si apre in un falsopiano chiamato Li Chiani (i piani) dove si trova un pozzo con due grandi abbeveratoi, usato nel periodo estivo dai pastori transumanti, per abbeverare le mandrie. Lo sguardo si distende sino all’orizzonte nella valle sottostante, il sole è alto e l’appetito si fa sentire, ci sediamo intorno al pozzo e da dentro lo zaino tiriamo fuori i panini con il vino.

  Dopo una breve sosta riprendiamo la nostra caccia fotografica alle piante e notiamo subito il costone tappezzato da numerose piante di Gentiana lutea (genziana maggiore). Una pianta molto importante per le proprietà toniche e stomachiche; l’uso nella preparazione di amari e digestivi ne hanno fatto una pianta rara, per questo oggi è particolarmente protetta.

Ha fiori gialli molto appariscenti che si raggruppano all’ascella delle foglie molto grandi e opposte tra loro. La parte usata in erboristeria è la radice, viene raccolta nel periodo autunnale, fatta essiccare dopo averla tagliata a dischetti e conservata in contenitori di carta.

Una ricetta molto semplice per gli amanti dei liquori domestici: mettere 5 cinque dischetti di radice in un litro di vino bianco per almeno dieci giorni, per poi berne mezzo bicchiere dopo i pasti.

La genziana maggiore viene spesso confusa con il Veratrum nigrum (veratro) dai fiori rossicci e dalle foglie alternate. Una liliacea tossica la cui radice veniva usata dai pastori per combattere alcune malattie delle pecore (parassitosi esterne); inoltre le foglie che non sono tossiche, erano dagli stessi utilizzate per avvolgere le ricotte.

Giunti alle Cese Cirito, siamo in prossimità del vecchio confine tra Stato Pontificio ed il Regno di Napoli e dove incrociamo il “Sentiero dei briganti” realizzato dal Gruppo di Ricerche dell’Associazione “La Vetta”, notiamo cespugli di Helichrysum italicum (elicriso), pianta un tempo molto usata dai contadini per combattere le tarme negli armadi. La preparazione di questo antitarma era particolare: si procedeva a legare fra di loro i capolini creando dei mazzetti per poi piegare i gambi facendo in modo che i capolini rimanessero all’interno dei sopra citati mazzetti. Con lo stesso sistema veniva conservata la camomilla per essere adoperata nei lunghi mesi invernali come panacea per tanti dolori. Con l’elicriso, oltre a tenere lontano le tarme, si prepara un olio indispensabile usato per la preparazione di creme per dermatiti varie. Esso viene preparato inserendo in un recipiente di vetro i capolini appena sbocciati coperti con olio extra vergine di oliva o di mandorle dolci, che viene lasciato al sole per tutta l’estate per poi filtrare il liquido che, conservato in contenitori di vetro scuri, verrà utilizzato alla bisogna.

Il nostro percorso scende verso la Vicenna, dove troviamo una quercia molto interessante, che si caratterizza per le foglie sempre verdi sì da confonderla con un leccio; ha le cupole delle ghiande come il cerro; è rivestita da un sottilissimo strato di sughero, ma analizzando le spaccature della corteccia di colore rossiccio, scopriamo che si tratta di una Quercus crenata (crenata). Siamo di fronte al primo esemplare che abbiamo incontrato durante tutto il tragitto. Va notato come in tutto il territorio verolano si possano contare solo pochi esemplari di questo tipo poiché trattasi di un ibrido naturale.

L’itinerario prosegue in una strada sterrata che costeggia i ruderi dell’eremo di San Cristoforo e scende costeggiando il percorso del fosso, ai lati del quale notiamo piccoli ciuffi erbacei con sommità fiorite di un bel rosa porpora di Origanum volgare (origano). Nella tradizione locale vengono raccolte le sommità fiorite, che fatte essiccare in luoghi ombrati e ventilati, sono usate per insaporire insalate di pomodoro e pizze rosse.

Nelle zone umide del fosso fanno bella vista rigogliose piante di Urtica dioica (ortica). A tutti è nota l’azione urticante, ma tante sono le proprietà medicinali e alimentari. La pianta intera fatta bollire per quindici minuti in due terzi d’acqua e un terzo di aceto di vino, se ne ricava un decotto usato per frizionare il cuoio capelluto, quale rimedio contro la caduta dei capelli. Nella cucina locale le foglie più tenere vengono utilizzate al posto degli spinaci, nell’impasto delle fettuccine.

Ormai il sole fa capolino tra i monti, siamo tornati al punto di partenza, arricchiti da questa nuova esperienza e convinti del motto ( conoscere la natura per rispettarla ).

Il vostro Aurelio RENZI

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